INAUGURAZIONE MERCOLEDÌ 15 APRILE 2009 ORE 21
Una delle annotazioni che si possono fare alle ricerche di questi ultimi anni è che il segno, spesso, soccombe al colore. Lo spazio ha perduto ogni mistero, è stato riempito di colore, e il risultato è un non vedere. Ma per Strazza anche il colore è segno, radicalmente indefinibile e indescrivibile. Senza direzione, curvatura o lunghezza, non ha in sé traccia del gesto né di ciò che fa del segno il costruttore dello spazio. Tuttavia, lo riempie di sentimento. Col colore si costruisce uno spazio psicologico.
Traspare, da questi concetti, la capacità di risolvere nella ricerca, dai Cosmati ai Segni di Roma, la contraddizione sostanziale tra materia e forma, tra precisione e imprecisione, tra progetto e realizzazione. In questo contesto si situa l'interesse, tra il 1964 e il 1969, per la scultura in ferro o in plastica, severa e semplice, attenta alla crisi ormai avvenuta nella situazione artistica italiana, lontana dalle fonti culturali più facilmente indicabili (Gonzales, David Smith, Colla) e perfettamente inserita nel lavoro sperimentale sul segno portato avanti alla Calcografia Nazionale tra il 1964 e il 1966, attraverso immagini stampate su carta, doppiate e trasferite su schemi mobili trasparenti di materia plastica.
Diceva di sé l’artista, la cui attività iniziò dopo un incontro con F. T. Marinetti che lo invitò alla XXXIV Biennale Internazionale d'Arte di Venezia dopo aver visto le sue opere giovanili: “Facendo sculture non ho fatto altro che far segni come in realtà faccio e ho sempre fatto; e posso dirlo se penso al segnare come risposta al richiamo di un fulmineo riconoscere qualcosa che nessuno prima aveva visto, non c'era, e d'improvviso c'è, si fa presenza assoluta e luminosa”.
Il ricercare di Strazza, il suo vedere sono, in fondo, ansia di penetrare nella realtà attraverso uno stato di vitalità, di innocenza che assicuri un minimo di spazio per l'immaginazione.