Ultimo appuntamento della rassegna SAGGE SONO LE MUSE 2021
A conclusione di “Sagge sono le muse”, la Fondazione Balestra di Longiano cede il palcoscenico a un’opera sfaccettata, che lega il teatro al museo. Il titolo, “Non sono nell’orco” presenta un libro a fumetti generato da storie scivolate nell’oblio e rigenerate in altre forme. A proporla sono Gyula Molnár ungherese, e Francesca Bettini, veneziana formatasi a Milano; coppia solida nell’arte e nella vita, dal 1996 a Longiano; una lunga storia da attori, autori, registi di teatro di figura coltivato sin dai Settanta, quando sbocciava al nuovo. Insieme al pubblico ripercorrono la genesi che li ha portati al libretto.
La presentazione-spettacolo si svolge nella ex chiesa Madonna di Loreto al Castello Malatestiano, da mercoledì 15 a venerdì 17 settembre, per quattro recite al giorno (ore 11, 16, 18 e 21). È un’opera di due artisti che hanno incontrato nel mondo delle figure possibilità di un teatro polimorfico e vivo. “Non sono nell’orco” è nato su commissione dello Stadtmuseum di Monaco di Baviera e dallo spettacolo “Kasperl Wurzeln”. La Fondazione Balestra, museo aperto a espressioni dell’arte multiformi, ha pubblicato la traduzione italiana del libretto. Coerente all’ereditarietà acquisita da Tito Balestra come luogo vocato alla complessità e alle differenze dell’arte, presenti in molte collezioni del Novecento al Castello longianese.
Come è nato, Francesca, “Non sono nell’orco”?
«Questo libro a fumetti è stato realizzato in Germania, per il Museo della Marionetta di Monaco di Baviera. La particolarità è il legame fra teatro e museo. È frutto di un lavoro decennale cominciato nel 2009 in un grande spazio espositivo ove creammo un laboratorio e scrivemmo lo spettacolo di cui sono rimaste tracce. Era “Le radici di Kaspar” burattino della tradizione mitteleuropea. Oggi ci sembrava interessante, traducendo in italiano il libro, rapportarci di nuovo a un museo, in questo caso alla fondazione Balestra. Per chiederci se il museo è o no un tipo di orco; se è solo luogo di ombre del passato o se è invece fecondo».
Come si è evoluto il lavoro?
«Il museo tedesco, che ha acquisito i nostri materiali, ci ha pure commissionato un catalogo, noi abbiamo realizzato il fumetto. Raccontiamo cosa succede ai sei burattini delle “Radici di Kaspar” quando si spengono le luci della ribalta. Finiscono nel Lete, il fiume dell’oblio, ed essendo di cartapesta si dissolvono. Rimane però una memoria nascosta delle parole sulla carta, che riemerge. Così, ripescati dal museo, finiscono nelle teche, nel nostro fumetto dentro a bottiglie. In 6 monologhi scritti facciamo esprimere a ognuno sentimenti di malinconia, rabbia, autocommiserazione, per un passato che non può tornare».
Come lo raccontate al pubblico?
«Accogliamo a piccoli gruppi in uno spazio espositivo della ex chiesa dove abbiamo allestito pannelli fotografici e realizzato quattro grandi tele di carta con rappresentazioni diverse, dal sacro imbuto dell’Inferno dantesco, allo schema labirintico della nostra rappresentazione condivisa per un decennio col museo di Monaco. Il pubblico entra poi in un altro spazio di lavoro allestito con carta, pennelli, fotografie, vecchi copioni, dove raccontiamo con teatralità la vicenda di questo libretto con effetti a sorpresa. Ci sembra interessante creare un laboratorio per il futuro dentro a un museo che si occupa di protezione del passato, così come il rapporto fra teatro e museo, l’uno portatore di storie, l’altro enorme contenitore di storie. Il tutto è trattato con leggerezza». (CORRIERE ROMAGNA)